Monte dei Cocci a Testaccio, facile dire: “è solo una vecchia discarica”. Culla e vestale di immensa biodiversità architettonica e artistica, Roma non se la prende più di tanto e ci invita a volgere pensiero e sguardo ai rifiuti, purché.. di epoca remota. A metà strada tra il cimitero degli inglesi e il ponte Sublicio si cela una collina speciale, vestita di alberi. E’ defilata, quasi ripiegata su se stessa.
All’occhio superficiale, solo una fotografia in bianco e nero, luogo inaccessibile da anni, di mero passaggio, apparentemente anonimo e dimenticato. Ma non inganniamoci.
La storia del Monte dei cocci
L’antico scarico di anfore olearie betiche (la Betica era la provincia romana situata nell’attuale Andalusia) e africane, ha un carattere sornione. Appena si comincia a salire sulle sue pendici, la storia e l’identità dell’area (inserita nel museo diffuso del rione Testaccio) riprendono vita, colore e vigore, raccontandoci di un passato animatissimo, ricco di episodi, aneddoti e curiosità. Provenienti dal vicino Emporium, porto commerciale lungo il Tevere (corrispondente in linea d’aria all’attuale piazza dell’Emporio), le anfore venivano svuotate e riutilizzate per costruzioni: ma non la dressel 20, manufatto piuttosto panciuto, perché l’olio ne intaccava le pareti. Andava trovata una soluzione per sbarazzarsene. Si decise quindi (e la cosa andò avanti dal 140 d.C. fino alla metà del III° secolo) di accatastarne metodicamente i cocci, spalmandoli di calce, per far assorbire l’olio. Nel tempo si materializzò un’altura artificiale: settecento metri di perimetro, un’altezza massima di 45 metri, una superficie di 22.000 metri quadrati e circa 25 milioni di vasi di terracotta a terrazza, l’uno sull’altro. Inoltre il ritrovamento di bolli laterizi, che indicavano provenienza, tipo di olio e altri dettagli utili alla vendita, così come l’intero insediamento, costituisce una importante fonte storico-documentaria sullo sviluppo economico dell’impero romano. Ma le vicende legate al monte, fratello minore e misconosciuto dei sette colli urbani, riguardano anche altro. Soprattutto la festa del carnevale, documentata per la prima volta nel 1256 durante il pontificato di Alessandro IV e rinnovata ogni anno fino al 1450 circa. Una giostra di tori, maiali e cinghiali lanciati a perdifiato dal pendio e trafitti dai giocatori. “La prima festa del mondo” come segnalavano orgogliosamente i cronisti medievali. Immancabile l’elemento religioso, col “Gioco della Passione”, rappresentazione sacra che, durante la settimana santa, partiva dalla casa dei Crescenzi, al Foro Boario, per concludersi sul monte simboleggiante il Golgota. Dopo, e fino all’arrivo dei piemontesi, la baraonda si spostò in blocco nella via Lata, l’attuale via del Corso. Tuttavia non era destino che il cocuzzolo dovesse essere lasciato in pace. Infatti nei primi del Seicento, sul pendio orientale, fu collocato il bersaglio per le esercitazioni dei bombardieri di Castel S. Angelo, il cui cannone era posizionato presso la piramide di Caio Cestio. Successivamente, l’altura subì delle grosse alterazioni provocate dallo scavo delle grotte per la conservazione del vino. Nell’ottocento il montarozzo ospitò i banchetti gastronomici delle celebri Ottobrate romane. A seguito della costruzione del quartiere Testaccio, la sopraelevazione di terracotta fu quasi del tutto circondata dal complesso del Mattatoio e da edifici abitati. Durante la seconda guerra mondiale vi fu anche installata una batteria antiaerea, di cui sono visibili i resti di piattaforme per i cannoni. Dalla sommità semiselvaggia, la città dei Cesari si offre al visitatore, languida e spalancata. Uno spettacolo intimo, solitario e sorprendente. Ci viene detto che nella boscaglia sottostante si nasconde anche il vetusto e dismesso stadio della squadra della Roma, su cui la natura ha avuto il sopravvento. Come si visita questo spicchio di storia sospeso nel tempo?
Ai piedi della collina, il Ketumbar
Il Ketumbar (ketumbar.it), ristorante situato ai piedi della collina, propone regolarmente una visita guidata di un’ora con un’archeologa. A seguire, un delizioso brunch biologico, anche con la formula kids friendly. Le mura del locale mostrano infinite anfore romane, a cui tiene compagnia la cantina dei vini.
L’ambiente è decisamente cool, ottimo anche per eventi mediatici e ricorrenze di ogni tipo. I cibi, gustosi e assemblati con ricette originali, vengono cucinati a bassa temperatura restituendo alle materie prime la loro fragranza senza tradirne l’essenza. Declinazione perfetta della formula de’ noantri che abbina l’arricchimento culturale alle prelibatezze enogastronomiche.