Bordeaux, una città al top dell’enogastronomia.
Non capita tutti i giorni di intervistare uno dei migliori giovani chef di Francia, per di più straniero, trapiantato in una città transalpina particolarmente attenta alle questioni enogastronomiche. Lo andiamo a conoscere appena arrivati a Bordeaux, capitale della Nouvelle Aquitaine e del dipartimento della Gironda. Si chiama Daniel Gallacher, ha origini scozzesi ma in piena simbiosi con la città che ha visto nascere l’Amor cortese. Qui dirige il suo ristorante Racines, luogo di creazioni infinite e abbinamenti originali.
Perché Bordeaux e non Parigi, e perché quasi sempre la Francia?
Le circostanze della vita. Per raccontare qualcosa di me, dirò che ho sempre adorato mangiare e che ho cominciato ad appassionarmi alla preparazione dei cibi verso i vent’anni, a Glasgow, assolutamente per caso.
La scintilla, la passione per questo mestiere, scocca dall’incontro con alcuni cuochi leccesi, dei quali mi interessava soprattutto la cultura, il modo di rapportarsi l’uno con l’altro, il bere un bicchiere dopo il lavoro, il preparare sempre nuovi piatti in modo non convenzionale.
Dopo quest’esperienza, grazie ad alcuni ottimi contatti francesi che avevo in Scozia, sono arrivato quasi per magia in Francia, prima a Saint-Tropez e poi a Parigi (anche) alla corte di Alain Ducasse. Per oltre tre anni ho voluto imparare il più possibile, in un luogo estremamente competitivo, con orari di lavoro pesanti e modi di vita frenetici. Poi, per questioni dettate da scelte sentimentali e di way of life, ho scelto Bordeaux.</p>
Successivamente sono ritornato in Scozia per un anno, ma il richiamo di Bordeaux era troppo forte: città molto bella e piena di opportunità, ho sempre saputo, anche prima del mini boom dei ristoranti bordolesi, che questo luogo racchiudeva in sé qualcosa di speciale.
Bordeax ha tutto: il clima, il ritmo rilassato che si respira, il modo in cui si mangia e si beve: insomma, mi sono sentito piacevolmente sopraffatto dalla cultura (gastronomica) della città. Ciò non toglie che sul lavoro, quando occorre, non ingrani la marcia del ritmo parigino! Nel 2015 ho acquistato il mio ristorant>e, che ho chiamato Racines (radici)
Quanto tempo dedica alla scelta degli ingredienti?
Prima di aprire il mio ristorante, giravo per i mercati di Bordeaux. Adesso, visto che il mio locale è tra i più competitivi della città a livello di qualità/prezzo – e che la sfida è quella di ottenere un profitto che consenta di far funzionare le cose -, per quanto riguarda le materie prime (sempre di stagione), mi affido a un circuito di fornitori molto affidabili e rodati. Mi basta alzare il telefono ed essere chiaro su ciò che voglio.
La routine è rigorosa perché siamo una piccola squadra, il locale dispone di una cucina minuta e abbiamo un unico frigo. Per la preparazione del pesce, della carne, della frutta e della verdura, la scaletta degli orari è molto mattutina e la preparazione dei cibi coinvolge, per forza di cose, alimenti sempre freschissimi.
Nelle sue creazioni quanto conta il vino?
Il vino svolge un ruolo fondamentale, è un imperativo. Cambio il menu ogni due settimane, ma la mia sommelier Salomè è sempre attentissima agli abbinamenti. Conformiamo i piatti seguendo le stagioni e gli arrivi dei vini.
Potrebbe definirsi uno chef europeo?
Si, credo di ritrovarmi abbastanza in questa definizione. Bordeaux è geograficamente vicina a tutto, anche alla Spagna per dire. Poi in generale mi interesso a ciò che accade nel mondo, desidero essere connesso, anche per non rimanere indietro.
Mi piace viaggiare nel tempo libero e cerco sempre di imparare, pur mantenendo le mie radici scozzese e la mia identità. Prima di aprire il mio Racines, in tutti i luoghi in cui ho lavorato ho voluto assimilare l’influenza e lo stile delle diverse cucine locali.
Il fatto di essere autodidatta, di non avere frequentato scuole particolari, mi ha consentito di non avere confini particolari nelle mie creazioni, anche al di là dell’ambito europeo.
Quanto dose di cuore e quanta dose di regole nelle sue creazioni?
Dipende. Mi prendo dei rischi e cerco di avere un atteggiamento aperto, senza attenermi a regole prefissate. Mi trovo ad agire all’interno di una scienza evolutiva, e serve avere uno spirito aperto.
Quello che posso dire è che non voglio che il ristorante si adatti a me, bensì l’esatto contrario. Ho solo quattro fuochi in cucina e garantire con poco personale 32 coperti a pranzo e a cena, con due antipasti, due piatti principali e due dolci, è una vera sfida.
L’organizzazione serve, è chiaro. Al tempo stesso i miei piatti si fondano sulla creatività, e quindi desidero offrire al cliente qualcosa di raro, di diverso, in termini di associazione di sapori, spezie e prodotti, pur utilizzando tecniche semplici non avendo a disposizione molti strumenti, per mancanza di spazio.
Mi piace associare la carne e il pesce, ma rimango sempre con in piedi per terra e non mi dico mai, “ora so cucinare”, per non perdere il tocco e non rilassarmi troppo. Non mi annoto le ricette che elaboro: ne cambio spesso le quantità e le dosi, pur rispettandone la struttura di partenza, sempre nell’ottica di mantenermi creativo.
Per avere successo in Francia, bisogna essere più francese degli stessi francesi?
(Ride). All’inizio è stata dura. Ho dovuto anche imparare bene la lingua. Bordeaux era una piazza molto chiusa. Ma ho perseverato, senza mollare. Devi adattarti all’ambiente e non viceversa. A piccoli passi la gente si è avvicinata. Affinché ciò avvenisse, ho adottato la tecnica delle linee low cost. Prezzi bassi e buon servizio, cioè cibo buono.
Ho successo perché la gente, a mano a mano, si sta cominciando a fidare. E’ chiaro che per farcela in Francia devi spingere al massimo. Ma poi, Bordeaux è la mia città di adozione, ed è qui che ho voluto piantare le mie… Racines.
Per maggiori info: www.bordeaux-tourisme.com www.france.fr www.airfrance.it