L’antica Tebe nacque settemila anni or sono per simboleggiare la grandezza, la magnificenza, la religiosità e l’arte del popolo egiziano. Vennero eretti templi grandiosi, monumenti e palazzi, in una competizione senza eguali durata secoli. E proprio da tale competizione presero avvio le ispirazioni greche, assire e romane. Il tempio dedicato a Karnak, ad Ammon Ra, a sua moglie Mut e ai loro tre figli, oltre a quello a Khonsu e a Plah sono i templi più imponenti, seguiti da quelli fatti edificare dai faraoni Ramsete II e Abu Simbel.
Viaggio nell’antica Tebe: emozioni, colori e profumi dei villaggi immersi in una “vita eterna”
Per un occidentale, penetrare nel senso delle grandiose realizzazioni del passato, cercando di carpirne i significati è impresa quasi impossibile. Esse furono sempre tese verso la “vita eterna”, sogno più ricorrente d’ogni faraone, in netto contrasto con l’attuale realtà di un campionario d’umanità quasi primitivo.
E’ soltanto marzo, eppure il sole splende come da noi in giugno. Dalla dahabieh (imbarcazione nilotica) in cui mi trovo, osservo sfilare lungo le rive limacciose, orlate di verde, fazzoletti di erba medica, campi di grano e fave in fiore. L’aria è limpida e profumata, il cielo senza una nube. Dappertutto uccelli che cantano, che frullano, come presi da un delirio di gioia. Proprio qui, lungo queste rive, coperte da macchie e palmeti lussureggianti, si scopre il vero volto dell’Egitto: un campionario d’umanità tutta particolare vi nasce, vive e muore in maniera quasi primitiva. Le donne, velate da lunghi drappi, si muovono quasi furtivamente attorno ad anguste dimore, spesso solo cubi di mota seccati al sole, che compongono microscopici villaggi.
La vita si svolge uguale, giorno dopo giorno, da secoli: attingere l’acqua al vecchio pozzo funzionante a contrappeso, mediante una lunga asta; accendere il fuoco coi rami secchi raccattati qua e là; lavare i panni nel Nilo. Per occuparsi di quest’ultimo lavoro, le donne debbono entrare in acqua fin quasi al bacino, mostrando gambe bianchissime, in netto contrasto coi volti bruciati dal sole. I bambini invece, circondati da tanta promiscuità, vivono felici, giocando allegramente nell’acqua seminudi, accanto a bufali sonnacchiosi. Aiutano i grandi nei lavori dei campi, portano al pascolo le pecore, cavalcano con destrezza piccoli asini mansueti, usandoli per il trasporto delle merci.
Qui non esistono industrie, salvo qualche piccolo cantiere artigianale per la costruzione e la riparazione delle barche. Le feluche, le caratteristiche imbarcazioni nilotiche, sono l’unico mezzo di trasporto per persone e cose attraverso il Nilo. Si rema al ritmo delle antiche nenie popolari, fintantoché non s’alza il vento: quindi, con le vele gonfie e i lunghissimi pennoni a pelo d’acqua, scivolano leggere al tramonto lungo un paesaggio color rosa.
Luxor: dal tempio al dio Ammon Rà ai mercatini per i turisti
Risalgo il fiume, fin quando non si scorge il maestoso tempio al dio Ammon Rà che si specchia sul Nilo, segnalandomi che sono giunta a Luxor. L’attuale cittadina (nota al mondo intero come centro dell’architettura antica egiziana) deve la sua fama all’antica Tebe, anche se il suo tempio e lo splendido peristilio con colonne dai capitelli papiriformi, lasciano i visitatori estasiati. Anche qui, da qualche decennio è arrivata la speculazione edilizia, che ha raggiunto l’apice del moderno con la realizzazione del Winter Palace, un monolito che simula un grande tempio faraonico, spaziando su tutta la cittadina araba.
Questa sponda del Nilo, a differenza dell’altra con distese di sabbia a perdita d’occhio e montagne color rosa, ha un gran viavai di gente, animali, carrozzelle per turisti e battelli a fondo piatto. Uno stuolo di coloratissimi venditori sostano perennemente fuori degli alberghi per “catturare” i turisti e condurli nei loro chioschi, vere grotte di Ali Baba. C’è di tutto, dalle preziose sete cinesi ai monili faraonici, dai tappeti multicolori ai piccoli caimani imbalsamati, ai profumi afrodisiaci. Il fatto curioso, che dimostra inequivocabilmente l’arte raffinata nella contrattazione, è che ogni turista esce da queste botteghe pieno di oggetti impensabili, soddisfatto di aver concluso ottimi affari.
Volendo immergersi nel silenzio, tra le antiche vestigia, basta spostarsi di qualche centinaio di metri. Nell’atmosfera senza tempo della foresta di colonne di pietra del maestoso tempio di Luxor, riecheggiano le gesta di Amenofi e il grande Ramsete. E’ un piacere sottile, quello di trovarsi sola, immersa in millenni di storia e di grandiosità. Fasci di colonne, semplici e lineari, s’alternano ad altre complesse ed elaborate, che nella loro forma imitano il papiro, la pianta della vita. Intere pareti sono tappezzate da bassorilievi, da geroglifici, con personaggi in marcia, tutti volti nella stessa direzione: sono i fedeli al dio Ammon, in processione. Spostandosi oltre, le colonne sono più alte, più maestose, in omaggio alle molteplici effigi di Ramsete II, in marcia verso la “vita eterna”, che emanano sensazioni di riverenza, di solennità. Quasi magicamente il silenzio si rompe con un risveglio repentino e travolgente. Riprendono a funzionare le dinamo dei battelli qui sotto, lungo la banchina, e un gruppo di turisti vocianti e irrispettosi invade nuovamente questo santuario, profanando ogni cosa al loro passaggio.
Al tramonto: Il lamento del muezzin riecheggia tra le montagne accese di rosa
Al tramonto il sole infierisce meno e pertanto, all’uso arabo, è bello rifugiarsi nella mia stanza, rinfrescata dal movimento cadenzato delle grandi pale di legno del ventilatore a soffitto. Più tardi, con un piatto di cuscus, uno spiedino di montone e un bicchiere di menta, prendo qualche appunto. Il lamento del muezzin mi ricorda che è l’ora della preghiera. Il momento più magico della giornata, in cui ogni buon arabo lascia perdere tutto ciò che sta facendo, per mettersi carponi verso la Mecca, in raccolta preghiera. Purtroppo, con l’avvento delle moderne tecnologie, anche qui stanno avvenendo notevoli mutamenti: persino il muezzin, personaggio emblematico della religione islamica, s’è modernizzato, perdendo quell’alone di misticismo, quell’alone contemplativo tanto gradito dai fedeli: é stato sostituito da un canto registrato.
Verso l’imbrunire le montagne si fanno rosa, accese dalle lame di luce del sole morente. E mentre il minareto si illumina di una miriade di luci bianche, la vecchia Luxor s’anima come d’incanto. Improvvisamente uomini dappertutto che terminano i loro lavori, mentre nell’aria si alzano profumi invitanti. Il viavai si fa intenso, dentro e fuori le trattorie, le friggitorie, i caffé: questa è l’ora della tavla, della fumata collettiva coi caratteristici narghilé.
Il giorno dopo nel pomeriggio, un sole cocente e impietoso mi accompagna. Un silenzio grave è ovunque, rotto solamente, di tanto in tanto, dalle strida acute di alcuni corvi che planano dal cielo blu sui miseri resti d’un pasto.
L’antica Tebe lungo la riva del Nilo
Un tempo, tanti secoli fa, Tebe s’estendeva lungo la riva del Nilo, per permettere al dio Ammon di navigare con la sua barca d’oro, seguito dai suoi sacerdoti (così è rappresentato nei geroglifici tebani). Poi, pian piano, il sacro fiume prese a ritirarsi verso la Libia, lasciando un chilometro di terreno fertile ricco di limo, nel quale oggi s’estendono rigogliosi campi di grano.
Entrando a Tebe si ha l’impressione che ci sia passato un catastrofico ciclone: obelischi spezzati, colonne frantumate, divinità deturpate e pareti danneggiate ovunque. La spiegazione me la dà un archeologo incontrato casualmente tra le rovine: “i danni maggiori non li ha causati il tempo, ma la dominazione dei primi cristiani e dei musulmani iconoclasti, che cercarono con tutti i mezzi a loro disposizione di distruggere materialmente la grandiosità di Tebe. Essi -prosegue- la consideravano un accentramento di “falsi dei” che andavano demoliti”.
Percorrendo il viale delle Sfingi, si giunge all’ingresso ricavato nel grande pilone, una volta adorno di bandiere e incisioni dipinte, raffiguranti il faraone mentre sacrifica agli dei. Solo gli iniziati potevano superare la porta centrale che immetteva nell’ipostilio, raggiungendo il santuario, dimora del dio.
E’ il tramonto e “Ra”, il sole, compone ombre sempre più lunghe che partono dalle colonne e gli obelischi, diffondendosi lungo le piazze, le strade, i templi, evocando immagini sognate sui banchi di scuola, con nomi e date che ridiventano di colpo familiari.
Viaggio a Tebe in Egitto: Notizie utili
Il viaggio: il periodo migliore è l’inverno, quando la temperatura media è sui 15 gradi, mentre d’estate supera spesso i 40.
La moneta: E’ la lira egiziana.
Indirizzi utili: Ufficio del Turismo Egiziano; Consolato a Roma, Via Salaria 267, tel. 06 84401976.
I documenti: Passaporto con visto, da richiedersi al Consolato. Non è richiesta alcuna vaccinazione.
La lingua: è’ l’arabo, ma ovunque si parla anche inglese.