Nel corso del nostro viaggio in Florida, tappa a Miami con pernottamento e intervista allo chef del Generator Hotel,  un ostello “chic”  a Mid Beach, a pochi metri dall’oceano.

Posizione eccellente, pulitissimo, molto cool, personale gentilissimo.

Last but not least, l’ottimo rapporto qualità-prezzo del Generator e la presenza di un  ristorante al suo interno: il Jim & Neesie.

Il locale si trova sulla sinistra, nella hall dell’ostello. E’ accattivante, di atmosfera: luci molto soffuse e arredamento urban.

Il ristorante Jim & Neesie

 

Ho l’opportunità di fare una chiacchierata (intervista) con l’Executive Chef, Daniel Roy, 34 anni, che si è fatto le ossa nei ristoranti top di Miami, come il 3030 Ocean 15 steps, Stubborn Seed, Matador Room e Commonwealth Miami. Mi accoglie con un sorriso e un bicchiere di vino a testa.

Ciao Daniel, a Miami è normale avere un ristorante (sofisticato e cool) all’interno degli hotel?

Sì, è normale. Ma non credo che sia necessariamente normale che la gente che vive in città consideri questo fatto una garanzia di qualità.

Vi sono buoni ristoranti, come il Faena oppure l’Edition – che ho aperto prima di questo – oppure ancora un altro paio di ottime strutture disseminate qua e là sulla spiaggia, ma la maggior parte di essi tradiscono le aspettative: sono troppo cari oppure la qualità si fa desiderare. I residenti quindi tendono a non avvicinarsi troppo ai ristoranti collegati agli hotel.

Il ristorante interno all’albergo può costituire una formula rischiosa?

Può essere rischiosa, ma io sono stato fortunato, ho aperto a Miami lo Stubborn Seed e il Matador con Jeremy Ford, sotto Jean-Georges (famoso chef pluristellato, ndr). Quindi il mio nome è rimasto legato a ristoranti interni sufficientemente rispettabili, di modo che la clientela locale di livello si è incuriosita ed è venuta a provare le mie creazioni.

Come nasce l’avventura in cucina, la tua carriera di chef?

Sono nato a Las Vegas. La mia famiglia si è spostata nella Florida del Nord quando avevo cinque anni. Sono figlio unico e mio padre è  per metà italiano. Papà e mamma volevano che fossi “indipendente”, senza quindi dover “dipendere da una ragazza”.

Pertanto a otto anni mi hanno messo in mano del pane, delle patate e delle uova affinché imparassi a cucinarli, in qualsiasi modo.

In tal modo –  mi dissero – se fossi stato povero non sarei morto di fame. Insomma sono partito da lì…cose semplici (uova strapazzate, english muffin sandwich, purè di patate, patate arrosto etc..). I miei genitori non erano chef e sono cresciuto mangiando sempre a casa. Ho cucinato tutta la mia vita, ma senza prendermi sul serio.

Fino a quando, otto, nove anni fa,  sono entrato nel settore del fine dining. In quel momento ho capito che quel mondo sarebbe stata la mia vita.

Ho dato un’occhiata al menu, molto originale. Più cocktail e cibo o cibo e cocktail?

Siamo un ristorante in grado di preparare dei cocktail molto buoni. Originariamente la struttura era un cocktail bar che preparava anche del buon cibo, ma oggi tutti ci considerano un ristorante, benché effettivamente serviamo anche cocktail eccezionali.

Ostriche West Coast, piatto di Daniel Roy – Foto di Mariangela Scotto

Quindi oggi un ristorante competitivo di Miami deve poter dare gli uni (i cocktail) e l’altro (il cibo), entrambi di altissimo livello.

Sì, ed è qualcosa che è stato introdotto una decina di anni fa, principalmente dal bar Broken Shaker a Miami Beach che ha alzato il livello dei cocktail. Prima si veniva a Miami solo per frozen drink o drink turistici. Adesso è diverso.  Un buon ristorante deve offrire ottimi cocktail.

Tartare di Ricciola (Hamachi Tartare), piatto di Daniel Roy – Foto di Mariangela Scotto

Le aspettative dei clienti  dei ristoranti di Miami si sono notevolmente alzate, non è cosi?

Miami è una città stanca di gente che non la rispetta. Ci sono tanti luoghi che offrono  cibo in grandi quantità, dove tutti sanno che maggiore è la quantità, minore è la qualità, ed è un fatto. Tuttavia sono nella Florida del Sud da tredici anni, su e giù da Miami da dieci/dodici anni, e da cinque anni vivo qui in modo permanente.

La scena enogastronomica della città è migliorata moltissimo, non solo per il fine dining ma per la qualità del cibo in generale.

 

Utilizzi prodotti locali per le tue creazioni?

Quando fa molto caldo, dipende dai prodotti che vuoi utilizzare. Non sempre trovi tutto a livello locale.

Come definiresti il tuo menu?

Per prima cosa ho voluto che il menu  fosse comprensibile e apparentemente semplice. In realtà dietro ogni piatto si nascondono tecniche sofisticate, percepibili una volta assaggiato il cibo. I clienti arrivano, all’inizio un po’ ci sottovalutano… mangiano e rimangono meravigliati.

La mia è una cucina globale orientata dai vari ingredienti di cui disponiamo. Ad esempio uso solo la pancetta di maiale affumicata del Tennessee, la quale si abbina al salmone; poi la brasiamo e da lì nasce una salsa barbecue.

Per creare i miei piatti ho bisogno di tre elementi: acidità, struttura e spezie. Inoltre voglio un menu misurato, stagionale, senza troppe cose, affinché tutto ciò che viene offerto sia di alto livello. Nei fine settimana predispongo anche piatti del giorno con delle specialità.

Carote al limone arrostite, piatto di Daniel Roy – Foto di Mariangela Scotto

Che messaggio vuoi trasmettere attraverso i tuoi piatti?

Voglio che le persone si ricredano sul gusto di alcuni ingredienti che vengono loro proposti, ad esempio carote e broccoli, poco utilizzati dal pubblico americano, specie in giovane età. Generator è un ostello: le persone magari mangiano da noi senza troppe aspettative e poi se ne vanno dicendo che è uno dei migliori ristoranti di Miami. Sorprendere piacevolemente quindi, allargare gli orizzonti, esporre a nuovi sapori.

Il vino arriva dopo la creazione del piatto?

Per me sì, ma devo ampliare il mio sapere sul vino.

I clienti chiedono che tipo di vino abbinare?

A volte sì, abbiamo un ottimo staff per questo.

Che ne pensi del cibo Floriddean?

E ‘ interessante, i sapori sono buoni, ma sono concentrato su altre influenze. Spesso richiamano sensazioni dall’India occidentale. A volte le inseriamo qua e là nel menu, ad esempio nel pesce.

Associ spesso carne e pesce?

A volte. Ad esempio pancetta di maiale e salmone. Ma preferisco i molluschi o i gamberi col maiale, il quale aggiunge un elemento di sapore in più.

L’influenza della cucina italiana?

Un pochino, ma adesso molto di più. All’interno del Generator, da fine mese, partiranno dei corsi per imparare a fare la pasta: pappardelle e ravioli alla ricotta.

So fare anche i garganelli, i cavatelli e tanto altro, ma per il momento sarei contento se chi verrà a seguire i corsi imparasse i primi due tipi.

Ho passato otto anni a preparare la pasta fatta in casa con l’unico top chef di Miami, sempre sotto l’egida di Jean Georges, e fra poco, grazie a un macchinario dall’Italia, potrò fare anche bucatini e rigatoni, da aggiungere al menu, col pesce, coi i gamberi, con i “crudos” etc… ci divertiremo, anche perché al momento siamo gli unici a Miami. Fra l’altro utilizzo diversi tipi di farina a seconda di ciò che voglio elaborare.

Cacio e pepe, speziati al limone (piatto di Daniel Roy) – Foto di Mariangela Scotto

Il tuo futuro?

La catena Generator si sta espandendo (anche) negli Stati uniti e mi ha contattato in relazione a una una serie di acquisti, ad esempio a Los Angeles, Chicago, New York e Miami. A dicembre/gennaio sarò a Washington DC per esportarvi questo format di ristorazione; a settembre a Berlino, per ridisegnare un paio di strutture.

Voglio sempre migliorare le cose, senza crogiolarmi sugli allori. Mi occuperò dei menu, delle ricette e di addestrare il personale. Almeno un paio di volte l’anno andrò a supervisionare la situazione nei vari luoghi per un controllo di qualità.

Ho sempre lavorato in una sola cucina alla volta, ma adesso non mi basta più, voglio ampliare i miei orizzonti, aprire la mente sempre di più.

Ci accomodiamo a cena, il locale è quasi in penombra e c’è buona musica di sottofondo.

Charred Romanesco (cavolfiore in crosta con salsa harissa) – Foto di Mariangela Scotto

Ostriche West Coast (con mignonette alla menta di cetriolo), tagliere di affettati e formaggi col miele, carote arrostite al limone, cacio e pepe e cavolfiore in crosta speziata (charred romanesco), un ottimo bianco spagnolo (La Liebre e la Tortuga) e tanta gentilezza.

L’intervista a Daniel Roy, Executive Chef al Generator si conclude piano piano, fra simpatia, risate e tintinii di bicchieri.

Daniel Roy ci illustra tutti i piatti che porta personalmente, ed è un grande piacere assaporare una cena squisita, particolare e… guidata: altro che semplice ostello!

Per prenotare: Generator Hotel e ristorante Jim&Neesie

Per maggiori info su Miami: Greater Miami and the Beaches

 

 

 

 

 

 

 

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